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#Fertilityday. Empatia del mio stivale

fertilityday

A nessuna donna piace aspettare per avere figli, se ha deciso che vuole averli. Molte donne magari prima di mettere su famiglia hanno anche usato metodi contraccettivi forti o abortito, perché non era il momento e perché non c’erano le condizioni. Non è che non avevano voglia di accoppiarsi quando avevano 20 anni. O che non sapevano che il fumo fa male o che a 40 anni la fertilità diminuisce.

Non è facile fare figli; crescerli. Nel senso che prima dei 30 anni ti inseriscono già nella sezione “irresponsabili”, se ne fai due già ti dicono “ora basta” oppure “appartenete a una setta religiosa?”.

Se ne fai tre ti dicono bravo, che se no qui figliano solo gli extracomunitari. Come se fosse una gara.

Se non ne fai neanche uno, ti dicono che stai sprecando un bene comune della società e non solo tuo…?

Quindi in pratica ci manca solo che ci diano lo schemino: devi avere 30 anni spaccati, il contratto a tempo indeterminato, 4 nonni e 4 bisnonni in pensione (ma quanti anni devono avere sti nonni…se fino a 70 devono lavorare?) e autosufficienti al 100%, che magari ti sganciano la casa oppure un extra mensile. Altrimenti sei un poraccio o una zecca, che vuole prendersi permessi al lavoro senza vergogna e con la faccia tosta, quando serve – che poi le necessità sono: figli ammalati e scioperi/vacanze degli insegnanti.

Mi vengono in mente le migliaia di ragazze che abortiscono, magari neanche convinte al 100%. Solo perché sta male partorire a 20 anni e rovinarsi la vita. Per poi scoprire che anche a 37 stai rischiando di rovinare la tua esistenza perché non stai procreando da giovane.

Penso a chi lavora con soddisfazione e teme di perdere il suo posto o il suo ruolo, o anche solo di perdere quel treno in corsa che è stata tanto fortunata a poter prendere. Perché una volta che fai figli tutto cambia, e se a 23 anni era presto perché eri scema, a 40 sei scema perché è tardi. Insomma sei sempre una povera scema.

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Se si voleva affrontare il tema dell’infertilità, bastava fare una campagna informativa,  non basata su quell’atteggiamento misto tra l’ironico e il bullo.

Offrire qualche consulenza, offrire un test, puntare sulla fiducia verso il medico, aprire uno sportello, un servizio, proporre un’educazione sessuale a scuola e magari chiamarla non più solo sessuale ma anche alla fertilità. Non un #fertilityday arrabattato alla buona.

E invece, sta cosa ammiccante e tristemente pretenziosa…mi sento veramente male.

Dovevano trasmettere empatia (parole tratte dai documenti del ministero) ma forse lo specialista che ha preso i lavori ha confuso empatia con simpatia, e ha pensato di fare degli slogan simpatici con la cicogna sul tetto e due persone che si accoppiano con uno smile giallo tra le gambe.

Io sono terrorizzata da questa cosa. Questa specie di finta voglia di dare una mano a chi vorrebbe saperne di più, o questo finto interesse verso la vita complicata delle famiglie e delle coppie.

Mi è sembrato proprio tutto finto, e mi sembra che le centinaia di mamme blogger che seguo, casalinghe, che cercano di arrabattarsi qualcosa con le loro idee e i loro post, sappiano realizzare una grafica migliore di quelle che ho visto per questa campagna, basta aprire Pinterest o WordPress, ci sono brave grafiche, scrittrici, esperte di marketing. Lavori di alta qualità, a budget nullo e con almeno una vaga idea del senso della parola empatia. Ma sono a casa perché è più semplice.

 

Mi è sembrato proprio lo svolgimento approssimativo di un compito assegnato:

Dobbiamo parlare dei problemi dell’infertilità, chi vuole farlo? Dai su, non fate quelle facce, cerchiamo di sdrammatizzare e di essere empatici. Il nome farà anche figo, fertilityday.

Sì, peccato che non abbiano capito la parola empatia, e abbiano puntato sulle leve sbagliate, facendo sentire parecchie donne come oggettini graziosi che non hanno neanche la data di scadenza…Peggio, buone solo il periodo x.

In cui devono accoppiarsi allegramente, spinte dall’immagine della clessidra che si svuota mentre loro sono distratte a fare shopping.

 

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